Giorgio Dellacasa
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LA VIA DELLA SETA

9 marzo. Il viaggio, da Genova ad Ashkabat, è stato lungo, quasi 24 ore. È l'alba e l'aeroporto appare ai nostri occhi assonnati come un edificio basso e bianco e un bel po' cadente. Proprio sovietico. Corridoi in calce macchiata regolano le code. Veloce per i residenti, lenta per gli altri. Ma questi non sono turisti, siamo gli unici. Chi è in coda con noi sono persone qui in trasferta per lavoro.
Facciamo abbastanza presto. In meno di una oretta siamo fuori. Sono quasi le cinque del mattino e la persona che ci aspetta, con un cappello in mano, reca un cartello con i nostri nomi; ci porta al nostro albergo. Dormiamo quattro ore.
In questo paese é difficile entrare; non riescono ad avere permessi neppure i giornalisti, occorre essere sempre accompagnati a vista; é per ciò che avevamo scritto a David accordandoci per l’attraversamento, via deserto, del Turkmenistan mentre per la permanenza nella capitale i rapporti via mail erano stati con Antonina.
Alle 11 ci vediamo con lei: una ucraina sposata in Turkmenistan con la quale parliamo a lungo. Ribadiamo che lì nella capitale, contrariamente alle leggi locali, vorremmo essere soli e viaggiatori indipendenti; allora ci da tutte le “dritte” possibili sui servizi cui accedere nella capitale, le cose che possiamo fare e quelle che non dobbiamo fare.
Dove prendere l'acqua, dove cambiare i soldi e le informazioni sui taxi. “Ma hanno l'insegna sopra,queste macchine?” domando incuriosito da un sorriso malizioso. “No, quelli che si fermano sono taxi”. Infatti vedremo, poi, uomini ma anche donne fermare sconosciuti e salire .
Al primo impatto la città è un po' araba e un po' russa; ma poi ci si rende conto presto che si é di fronte, almeno per la parte nuova e più grande, ad una città unica al mondo, irreale, con il tocco manifesto di un dittatore particolarmente megalomane ed autocelebrativo e la contemporanea assenza dell’uomo.
Piazze, strade, monumenti e fontane riempiono, a chiazze, un vastissimo territorio. Una specie di città fantasma, in mezzo al deserto. Il marmo è ovunque. Ma, gli abitanti, le settecento mila persone dove sono? A tutte le ore, qui in centro almeno, sono molto pochi in giro per le strade. Molti di più i poliziotti. Le luci della sera renderanno ancora più palese lo spreco di energia e le fulgide luminosità dei pacchiani monumenti.
Andiamo a cercare un po' di movimento in periferia. Un po' di vita.
Ora un mercato. Si, questo è vivo ma non esagerato, almeno per chi ha visto Bankok. Domani vivremo meglio questa parte più vecchia; ora torniamo in centro. Ogni due persone ci sono un paio di poliziotti.
In una zona del mondo dove la contrattazione è la regola anche per il taxi non si fa eccezione. E può essere lungo trattare.
La cena e poi la classica passeggiata serale; serve a metabolizzare la giornata e, in questo caso, anche a documentare lo spreco di luci.
La città, ci sembra di conoscerla già bene. Forse avremmo potuto dedicare due giorni a Merv, una pietra miliare della Via della Seta che si trova a 100 km da qui. Per noi la Via della Seta invece comincia qui.
Qualche ora per tornare ad apprezzare il mercato e scopriamo la bellezza della sua parte coperta. C’è di tutto ed è veramente grande e fornito. È molto vivace e ci sorprendono frutta e verdura, belli e freschissimi, forme di pane fragranti e attraenti; guardiamo le persone e iniziamo ad analizzarne abbigliamento e caratteri somatici; hanno poco di asiatico, hanno un po’ della diffidenza russa e, a differenza dei confinanti, non sono religiosamente integralisti.
A pranzo siamo in un ristorante veramente di buon livello dove i piatti di pesce ci sorprendono per l’eccellente qualità. Dopo un lungo giro andiamo in un pub dove avrei potuto portare i colori del mio genoa.
Una birra eccellente, una marlboro; parliamo a lungo io e il mio compagno di viaggio e tornando ci soffermiamo a riflettere sul terribile terremoto di non molti anni fa'. Su 300 mila abitanti ne perirono più di 100 mila e tutte le abitazioni erano basse. Uno su tre è inquietante. " Se ci pensi, è pazzesco”, significa un movimento del terreno terribile e lunghissimo.
Poi è arrivato il ‘91 e con la fine della Unione Sovietica è arrivato il dittatore, quello precedente a questo. Anche qui è pazzesco pensare a quanti milioni di dollari ha preso dalla Russia per continuare ad essere loro amico. E allora si sono affacciati gli Usa: anche noi siamo amici; lascia che ci mettiamo d’accordo. E la Cina? Forse raramente nella storia sono stati versati fiumi di dollari così copiosi. E così qualche dollaro per la città e per alcuni servizi sociali sono stati reinvestiti. Quasi tutti lavorano, anche se mal compensati. Una parte, i più fortunati, lavora nei tantissimi ministeri (saranno forse un centinaio e ciascuno in un grattacielo bianco) e i più sfortunati a
pulire le aiuole, le strade e ad innaffiare i fiori. Ma questo è un punto comune a quasi tutta l’Asia.
Tutti qui hanno il gas gratis e la benzina per gli usi correnti. La quantità di gas che ha questo paese è impensabile e ci troviamo per un attimo a pensare alla posizione e alla situazione di questo stato.
Qui nella capitale siamo a venti kilometri dall' Iran; il nostro Silvio 2, il Turkmenbashi, non deve fare troppo il furbo.
A sera ci si prepara per la grande avventura nel deserto. Alle 11 del mattino seguente partiamo.
Abbiamo preparato tutto per bene ma chi aveva questo importante compito è Oleg, il nostro capo spedizione. È accompagnato da Shasha . Sull'altro fuori strada c'e Alec .
Termina lentamente la città. All'improvviso quattro case, tre case, una casa. L'ultima. Presto è solo steppa sabbiosa.
Subito dopo è sabbia con qualche arbusto e presto arriva il vento che non ci lascia per un po'.
Le due macchine si fermano; gli autisti scendono. Io resto seduto; sono rapito dall’emozione e mi sembra di osservare meglio; sento già la sabbia tra i denti; pochi minuti per avere un “assaggio” di inospitalità.
Sento e vedo il vento e mi sento quasi una oppressione claustrofobica. La visuale è di pochi metri. Ripartiamo; incrociamo pochissime auto e qualche cammello . Oleg dice che ora comincerà il deserto. E nelle due ore passate che cosa era? Poi si fermano di nuovo.
Prendono da un casotto container, era il supporto del benzinaio, 3 taniche supplementari di benzina. Attivano le radio per parlarsi tra jeep e capiamo meglio. Per tre giorni non ci sarà benzina, non ci saranno case e rifornimenti, non ci sarà nulla e neppure campo per il telefono.
Capisco da vicino e capisco perché le jeep sono due.
Ci fermiamo ancora, le guide scendono.....non le vediamo per qualche attimo, poi si consultano......rientrano… non trovavano la strada...nascosta dal vento.
Poi, per le ore successive mi è difficile scrivere...sono ore di un fantastico nulla, ondulato a tratti. Pian piano mi assuefaccio e mi riprendo. Oleg racconta che questo anno ha piovuto tanto…si fa per dire. Affiora qualche ciuffo d’erba e poi qualche fiore....nel deserto. L'ambiente è più dolce.
Arriviamo in un villaggio fatto di case marroni. Sono di fango e paglia. Da 10 mila anni è così; il metodo antico del moderno cemento armato. È pazzesco. Scendiamo e facciamo conoscenza con l’insegnante della scuola. 300 persone e 60 bambini. Lui è orgoglioso. La vita deve essere molto dura qui. Il villaggio si chiama Dingly. Fotografo frettolosamente ma mi vergogno un po'. Proseguiamo la strada; siamo quasi al tramonto e siamo ormai lontani dalla civiltà; 6 ore di potente fuori strada o 15 ore di cammello.
Poi all'improvviso appare un altro villaggio. Oleg ci dice che siamo arrivati. “Arrivati dove?” A Damla. Un villaggio sperduto nel deserto. L’incontro con il capo della famiglia che ci ospiterà, poi con famiglie limitrofe e il the nella gher mi ricordano situazione ed emozioni dello scorso anno. Ma è più spartano, se possibile. Seduti per terra a bere vodka nello stesso calice. Siamo affascinati e affumicati.
Walter ed io ora siamo soli, fuori della tenda: l’improvviso inusuale contesto, la gioia e l’emozione di essere dove siamo causano in entrambe una crisi isterica di riso che fatichiamo a contenere senza parlare. Ma siamo presto tornati in noi e ci sprofondiamo di nuovo in questo mondo.
Cena tutti insieme. Noi due , i nostri accompagnatori e il vecchio. Ma non le donne che ogni tanto portano qualcosa . Il vecchio attizza e cura il fuoco con maestria ma ciò che colpisce di più è il piccolo cumulo di brace e le caraffe di metallo fatte a fiasco; fanno in fretta a prendere calore e danno idea di grande funzionalità.
Tutti e cinque gli ospiti, dormiamo in questa gher; nel sacco a pelo su un tappeto steso per terra.
Fuori fa freddo, dentro c’è molto fumo che pian piano sale via su dal foro centrale; mi addormento nella speranza che gli anticorpi siano stati sufficienti e ripenso alla giornata: bellissima; la temperatura oggi è passata, prima da 17 a 30 gradi, entrati nel cuore del deserto e ora poco sopra lo zero.
Risveglio nel sacco a pelo. Colazione con the, vodka e biscotti. Guardo il vecchio e il suo modo di pulire le tazze; mi da fastidio che la mia testa faccia paragoni con i miei standard di pulizia; perché devo fare confronti...
Facciamo un lungo giro nel villaggio apprezzando per tutta la giornata l'atmosfera e ogni particolare. Lo spettacolo del pozzo: dall’invaso l’acqua piovana, filtrata dalla sabbia, scende nel pozzo; i mattoni di terra con le pagliuzze di fieno a rafforzarle; i recinti fatti di resistenti sterpi secchi. Metodi e tecniche vecchie migliaia di anni. Tutto serve e nulla, ma proprio nulla, si butta.
Poi la scuola. La gioia dei bimbi e la tenerezza del maestro; quando i bimbi vedono le macchine fotografiche ci chiedono foto, vogliono vederle, vogliono farne altre, da sola o con l’amica del cuore; e altre ancora. Qui lascio i piccoli doni portati dall'Italia.
La famiglia presso la quale viviamo è numerosa: una figlia è velata, una altra della stessa età, no e forse è promessa sposa. Due figli piccoli: in tutto nove.
A pranzo un grande piatto unico dove, con un cucchiaio di legno che spunta fuori dal nulla per incanto e per gli ospiti, mangiamo tutti insieme. Vodka.
Un giorno e mezzo difficili da dimenticare. Salutiamo e ripartiamo.
Le macchine sono grosse e potenti ma ci insabbiamo molte volte. La sabbia ci fa prigionieri spesso. Con sterpi, coperte o altro, alla fine ogni volta si riparte ma tra le dune è uno spettacolo muoversi. Nel pomeriggio ci fermiamo a far legna, sterpi secchi; e poco dopo ne usiamo un po’ per fare il the; il the nel deserto.
Poi ci fermiamo definitivamente in un avvallamento su una collina e ci accampiamo .
Shasha e Alec montano la tenda per noi due. Poi montano quella di Oleg mentre lui prepara la cena. Agnello infilzato in spiedini e verdure al barbecue. Poi ancora cipolline, pomodori e melanzane. Ogni giro di vodka non si può rifiutare. Tanta ma tanta vodka. Cena conviviale e indimenticabile sotto le stelle e in mezzo al deserto. Anche questo finale di giornata sarà difficile riviverlo; ma ora è gia difficile ripensarlo. Si, bisogna vivere il presente, abbeverarsene e goderne. Ogni momento è una scoperta, una emozione. Oleg e Walter sono loquacissimi.
Per tutta la serata il cratere infuocato dal gas ci ha fatto compagnia con il suo bagliore in lontananza. Più tardi ci avviciniamo; un grande cratere di quasi duecento metri sprigiona gas che brucia. Quanto gas. Ancora qualche giro di vodka che non si può rifiutare. Notte in tenda. Ancora un risveglio in tenda. È bello svegliarsi in un posto come questo. Il sole basso del primo mattino illumina appena la collina che sta dietro di noi; e se ieri sera la cena era accanto al fuoco e sotto le stelle ora la mia colazione è buona, sotto un tiepido sole mattutino e lontana anni luce dalla mia civiltà. Le sensazioni sono difficilmente immaginabili, per nulla documentabili e assolutamente forti.
Alec e Sasha smontano il campo e ripartiamo.
Troviamo presto un ex fiume, non più fiume da 1500 anni. Dai tempi di Alessandro Magno. Incrociamo poi la strada che da sud a nord taglia in due il paese. Alec ci saluta e torna indietro. Il suo aiuto non è più indispensabile.
Dopo 70 km l’asfalto finisce e lo sterrato pian piano peggiora. L’ andatura è necessariamente bassa e ci ricorda la mitica ruta 40, in Patagonia ma quella è una altro film. Come là, però, occorre continuamente cambiare lato della carreggiata alla ricerca del migliore procedere e anche uscire di strada a cercare un fondo meno accidentato.
La scarsa igiene personale di questi giorni si fa sentire ma stasera prenderemo rimedio. Lentamente il deserto finisce. In breve lascia lo spazio alla steppa. Ora iniziano, qui al nord, anche un po’ di coltivazioni. A 100 km da Dashoguz riprende l’asfalto; a metà giornata siamo a Urgench, città costruita e ricostruita tante volte per la sua strategica importanza nei secoli fino dall’epoca di Tamerlano.
La porta di Urgench, il mausoleo di Azrlan e il minareto; questo inizia ad impressionarmi. Sono monumenti del 1100/1200.E la collina della preghiera. Bellissime sensazioni. Mi sembra molto araba e, anche se non ci sono mai stato, mi sembra una collina palestinese.
Oleg ci spiega bene e con passione; dei monumenti e dell'ambiente, di Gengis Khan e di Tamerlano.
A cena pollo con patatine in un albergo molto sovietico. La passeggiata serale, la nostra solita passeggiata del dopo cena ci vede a parlare di Oleg, dei turkmeni e delle loro caratteristiche.
E' mattino; dopo i saluti e l'aiuto di Oleg ad inizio frontiera, da soli facciamo i soliti tanti passaggi; da un controllo all’altro. E siamo a Kiwa.
Ieri ho lasciato la natura più natura del deserto, la preistoria di Damla, per trovare ora la Storia, qui a Kiwa. La storia di caravan serragli, delle carovane, della seta, di Gengis Khan e Tamerlano.
Oggi questo è un bazar e mi piace pensare al passato, e questa è una cosa ricorrente con Walter poiché spesso leggendo ad alta voce la storia, i fatti e gli aneddoti, con la documentazione in nostro possesso, seduti e sprofondati in quei contesti, ritorniamo più facilmente e verosimilmente indietro di secoli o millenni.
Ma poi mi trovo al presente. E sono qui a contrattare. Al mercato arriviamo appena prima della chiusura. Giusto per dare una occhiata; cerchiamo un cambia valute, si fa per dire. Sappiamo che sulle banche non dobbiamo contare e ci guardiamo intorno. “Quel tipo sembra fare al caso nostro”.
Gesticoliamo. “Money?”. A sua volta costui ci porta dalla persona giusta. La avviciniamo e questi è attorniato da altri…collaboratori. La loro valuta è molto svalutata. Lui ha un borsone grande, gonfio, pieno di pacchi di banconote; ne prendiamo alcuni etti; ne abbiamo per ora una somma sufficiente.
Ci muoviamo bene, siamo bravi a scovare le persone giuste, a contrattare: sia i compensi per gli spostamenti, sia gli alberghi e gli acquisti. Kiwa è veramente affascinante. La apprezziamo senza turisti, tra qualche mese ce ne saranno un po’. Qui in Uzbekistan possiamo utilizzare l'inglese, fortunatamente.
Cerchiamo per pranzare ma non ci sono insegne; poi la voce di una signora seduta sulla sua sedia fuori della porta di casa, aperta. Ci avviciniamo e chiediamo per un “restaurante”. Lei si alza e ci fa entrare. Una abitazione privata adibita a ristorante. Ravioli e frutta.La signora e sua figlia non hanno l’efficienza e la velocità occidentali ma ci troviamo benissimo: chiedo se, per caso, abbiano una banana; ci pensa un attimo e mi dice: “ Yes, wait please”. Non sapevo che andava a cercarla chissà dove; dopo più di mezz’ora io mangio la mia banana.
Stiamo bene. Cerchiamo con successo contatti per il trasferimento di domani; questo è un modo per girare la città, parlare con la gente e conoscerla nelle sue caratteristiche meno appariscenti; prendiamo accordi, dopo aver parlato a lungo con il nostro nuovo accompagnatore; non abbiamo bisogno di ottenere certezze sulle sue credenziali o la nostra sicurezza del viaggio di domani ma è bello rimanere a lungo con lui. Ci fa vedere la sua auto, ci parla di lui e della sua famiglia.
Gayrat, questo è il suo nome, alle 9 e mezzo ci preleva dall' albergo. Passiamo il fiume Amu Darja famoso in tutte le conquiste del passato. Da Gengis Khan ad Alessandro.
Parla molto, il nostro driver e noi passiamo una giornata finalmente non faticosa. Guardiamo la campagna in gran parte coltivata; anche qui il gas abbonda. La primavera è al suo apice.
È domenica, i mercati sono chiusi ma la gente cerca il baratto ovunque. Osserviamo che il passeggero non ha mai la precedenza. E più andremo a est, in Asia, e più questa regola sarà drammaticamente rispettata.
Ora sui lati della strada scompaiono le coltivazioni e intorno a noi ora ci sono di nuovo sterpaglie e deserto; da una altura momentanea si apprezza una depressione dove il fiume si snoda. Poi ci si ferma. Una cassetta a bordo strada raccoglie qualche soldo; quelli di Ayrat e quelli di una altra macchina; in una casa non lontano da qui abita una famiglia particolarmente sfortunata; chi si ferma lascia qualcosa. Zuppa, a pane e the. Riprendiamo la strada in mezzo al deserto. Nel primo pomeriggio arriviamo a Bukkara e facciamo aspettare Gayrat. Poi pecchiamo di occidentalità e mettiamo lui in concorrenza con l’albergatore di Samarcanda; dopo i debiti confronti vince Gayrat poichè quanto propone lui è meglio e più conveniente.
Dopodomani alle 10 abbiamo appuntamento con lui per un nuovo trasferimento. Arrivederci caro amico.
In serata una gran bella cena. Un po’ di stress più tardi perché internet point è quanto meno disastroso e lento, quasi inutile; difficile contattare David in Kazakistan, con il quale avevamo un appuntamento via mail per un consiglio sul come passare il confine tra il Kazakistan e la Cina. Ora la tecnologia non ci aiuta ma d’altronde l’ultima mail ricevuta non ci era piaciuta molto. Siamo al dunque su questo punto nodale del nostro viaggio, ma ci penseremo più avanti e cerchiamo di non innervosirci troppo. Facciamo, a sera, un bel giro per apprezzare la città vecchia. Forse troppi colori nella restaurazione.
Buona notte amore mio. Scrivo ad Anna sms e mail. Domani è un altro giorno. E’ da rimarcare la gentilezza della padrona dell’”agriturismo”; parla anche un po’ in italiano. Giorno di decisioni di percorso.
Giorno bellissimo e di grandi “mercati” . Un bazar ad ogni ex caravan serraglio. Siamo a Bukkara. La atmosfera è bella. Qualche insegna commerciale di troppo rispetto a Kiwa ma i tanti edifici vecchi o ben restaurati rendono affascinante ogni angolo.
Giornata anche di shopping; facciamo acquisti mirati ma li effettuiamo a puntate: ottimizziamo la trattativa ma soprattutto ci divertiamo di più e stiamo più tempo con loro; d’altronde se non contratti sono i primi ad offendersi perché sviliresti l’oggetto o l’importanza del momento del loro lavoro; sei lì per un baratto, non per fare l’elemosina. Difficile raccontare quanto estenuante. Contrattiamo ..per ore….e intanto parliamo e familiarizziamo; ad un certo punto ci sediamo con i nostri interlocutori, ci chiamiamo per nome e, forse per distrarci parliamo anche delle rispettive famiglie e beviamo il the; poi riprende la trattativa.
Più tardi passeggiamo a lungo; mi calo nel contesto, penso ai secoli passati e cerco di immaginare quali scenari e tipo di mondo potesse essere. E’ difficile farlo perché l’evolversi del tempo e degli ambienti non ha avuto i ritmi dell’occidente. 1800 anni quasi simili.
Al tramonto poche persone animano le strade e sentiamo in lontananza i canti di preghiera . È una medressa ma non possiamo entrare. Solo stiamo nell’attrio, ma vale la pena. Poi continuiamo a girovagare tra vecchi caravan serragli, moschee, mausoleo; e la vista del minareto fa tornare in mente la storia: quando Gengis Khan è tornato qui armato e arrabbiato, pronto a distruggere tutto. Così ha fatto ma davanti al minareto si è fermato e lo ha risparmiato. Meno male…
Alla mattina la prima ora è dedicata ancora ai contatti con David: dopo frenetiche mail su computers scalcinati decidiamo, circa il confine kazako, di fare altra strada, altro mezzo e di testa nostra. Ma alcuni dubbi saranno sciolti all’ultimo momento, in loco.
Cena dalla padrona. Signora e nipote preparano ottima e abbondante cena.
Le due giapponesine tontarelle che mangiano con noi saranno con noi anche in macchina verso Samarcanda. Come ci staremo non so, in macchina con tutti quei bagagli.
Come previsto alle 9 e 30 siamo pronti tutti ma invece che Gayrat c’è un suo amico, con una macchina più grande. Meglio così .
Dopo 30 km la polizia, nei soliti controlli, ci ferma e li ci stiamo un bel po’; forse trova qualche cosa a cui attaccarsi e scaturisce un lungo diverbio; presto la reazione del nostro autista e l’atteggiamento di sfida dei poliziotti degenerano; noi siamo chiusi in macchina e non per scelta; il capo poliziotto sfila con maestria il portafogli dalla tasca della vittima; arriva una altra macchina di poliziotti e poi anche un altro taxi che ci fa presagire un cambio di macchina; forse il nostro uomo qualcosa da nascondere ce l’ha e presto diventa colluttazione; poi gli è consentito di telefonare e qualcuno dall’altra parte del filo, probabilmente, consiglia un profilo di deferenza.
Il finale si svolge alle nostre spalle e non possiamo vedere tutto; ma di li a poco riusciamo a partire.
Il paesaggio che attraversiamo è di nuovo steppa. Poi ricomincia un pò di agricoltura e con essa paesini vivaci. Come sempre il mezzo di trasporto più utilizzato per i passanti è mettersi a bordo strada e aspettare. Vale per chiunque, in ogni posto da Ashkabad fino qui. Ma Antonina ce lo aveva detto; ne vediamo tanti ad aspettare a bordo strada. E intanto camminano....camminano anche a bordo deserto.
Le prime propaggini di Samarcanda ci fanno pensare a una città ricca e grande. Troviamo il nostro B & B, prenotato questo si perché imperdibile, via mail all’incirca per questo periodo. È molto carino, affascinante; un vecchio caravan serraglio tutto intorno a un cortile fiorito.
Alle tre del pomeriggio facciamo un breakfast e usciamo poi a prendere una vista della città. Sembra in effetti una città molto moderna. Non avrei mai pensato alla mitica Samarcanda così grande, moderna e con le macchine che sfrecciano; non vediamo così tanti monumenti come ci aspettavamo. Comunque bella, con grandi viali alberati la città nuova.
La vecchia città ha caratteristici vicoli con abitazioni basse e fognature a cielo aperto. La gente ci saluta. Tutti sanno un pò di inglese. La pioggia ci fa rincasare presto. Un pochino delusi. Ci attende una gran bella cena . L’Uzbekistan è più moderno e commerciale di quanto pensassi. Quello vecchio si è fermato a Kiwa.
Al mattino seguente un breakfast veramente eccellente con formaggio, yogurt, uova, dolci, frutta secca e the.
Finalmente riesco a scrivere ad Anna. Stamane mi sento solo e il desiderio di stare con lei prevale su ogni altro bisogno primario.
Poi la pioggia mi rende il buon umore; dopo la pioggia fa freddo ma ora dobbiamo vedere il monumento più importante di tutta l'Asia.
Il Registan si fa vedere già da lontano per la sua grandezza, fascino e maestosità.
Più tardi ci fermiamo in una vecchia casa attrezzata per ristoro. Gayrat ci aveva detto di un locale ottimo e pulitissimo; Walter ed io ci guardiamo con un solo cenno d’occhi e assolviamo con silenziosa gioia la grande dignità ed ingenuità del nostro amico.
Oggi è una Medressa, non possiamo entrare nelle stanze principali ma ci bastano fantastici cortili e piccole zone dell’edificio.
Leggiamo la sua storia e poi, seduti davanti ad esso, riusciamo ad immaginare, spettatori di uno spaccato del tempo. Come nei caravan serragli di Bukkara è bello immaginare davanti alla spiritualità di questo posto. Sono qui a contemplare queste 3 medresse che costituiscono il Registan e la moschea vicina costruita da un architetto impertinente castigato dalla gelosia di Tamerlano.
Prima di fare una acerrima e quasi crudele trattativa per un bellissimo scialle ci concediamo un the con pane in un locale...locale.
Il riposo prima della cena è utile.
La cena è straordinaria: tanti antipasti; dalle noccioline ai pomodori scottati ai peperoni, i fagioli e le carote. Lo yogurt fatto nella stanza accanto mi piace moltissimo. Zuppa, ma è quasi un minestrone genovese, precede l’agnello. Poi involtini di riso avvolti in foglie di vite e di agnello avvolti in verdura. Contorno di verdure miste. Birra con frutta secca. La passeggiata serale è con la neve.
Al mattino la macchina ci porta alla stazione dove un treno veloce arriverà in meno di 4 ore a Tashkent. Il paesaggio da agricolo sfuma in colline e sconfinati pascoli.
Il treno corre come i miei pensieri.
Ciao Anna sono quasi a metà del viaggio. Che ricchezza, che fortuna viaggiare: non ho mai imparato tanta storia, costumi, geografia, usanze, lingue, come in queste occasioni. E le piccole grandi esperienze di vita e contatto con la gente in mille occasioni della giornata.
Mentre sonnecchio dondolando sul vagone osservo un anziano signore che dialoga in inglese con una giovane donna del posto. Lei ha quasi caratteristiche europee e lui forse indiane. Lei è piuttosto elegante con il suo bimbo e lui è un viaggiatore; capisco che racconta di suoi viaggi e la ascoltatrice sembra molto interessata. Le sue esperienze e allora io penso un attimo alle mie.
Forse in questo momento, Anna, stai arrivando in bici a Portofino mentre io sono quasi a Tashkent, la capitale non lontana dal confine. Con questi pensieri e i miei ambiziosi progetti scrivo il mio diario.
La giornata è di transito. Non ci sono obiettivi o aspettative particolari. Ma in ogni posto val la pena di esserci. Dopo la sistemazione in un nuovo ma squallido albergo abbiamo il tempo di vedere mezza giornata la città. Ampie strade alberate, la statua di Tamerlano e poco altro. Poco inglese, assente totalmente nei menù. E questa è la prima avvisaglia. Da qui in poi l’inglese sarà sconosciuto, salvo casi particolari.

Domani al confine. Per quanto riguarda il confine con il Kazakhstan le opinioni sono controverse. Alcuni dicono sia abbastanza semplice, altri molto ostico. Tra poco vedremo. Ci arriveremo con una macchina che andiamo a cercare con il dito alzato nei pressi della stazione.
È abbastanza presto; il tempo è con noi quando iniziamo la trafila, con gli zaini, il braccio alzato in una fredda mattinata.
Un simpatico autista, che ci carica, ci dice che il confine di Chernjevka non esiste più. “E allora noi cosa possiamo fare?” Allora dice che possiamo andare a Monten: è a 40 km; andiamo là.

C’è ressa e dopo un fitto confabulare capiamo che questo “border” non è per stranieri. Yallama andrà bene invece; peccato che si trova a oltre 100 km da qui. Non abbiamo scelta, il nostro driver è gentile, parla malissimo l’inglese e….ha il coltello dalla parte del manico; ma stasera il visto uzbeko scade e noi dobbiamo uscire per forza dal paese.
Il nostro amico ci porta al confine buono, finalmente dopo tanto peregrinare; e ci lascia al nostro destino.
Passiamo da un controllo all’ altro, alla dogana; siamo già abbastanza stanchi, ma la giornata sarà ancora molto lunga e faticosa; nel classico tratto di “terra di nessuno” speravamo di fare pipi ma da lontano chiare minacce con fucile puntato ci impongono di andare diritti e senza fermarsi.

Siamo ora al posto di controllo kazako, finalmente; il mio compagno di viaggio è sfortunato e capita tra le grinfie di un funzionario corrotto, che sull’altare della nostra italica mafia, vuole soldi ma senza ottenerli; Walter riuscirà dopo un bel po’ a rimettere a posto lo zaino, fatto svuotare fino in fondo; ma da inizio confine sono passate già due ore. Io invece ho trovato un gendarme facile; ha guardato il passaporto; esclama: “Italia!” e io allora intono Al Bano e Romina per compiacenza; e lui, orgoglioso si abbassa a prendere un mangianastri e schiaccia un solo tasto e in tutta la camerata vibra: “felicità, felicità è stare vicini….”. Orgoglioso e felice non si accorge del mio sorriso ironico e falso; con il passaporto in mano mi siedo ad aspettare Walter.
Usciti e con le vesciche gonfie pensiamo alla toilet e poi al cambio soldi kazaki. Siamo sempre più stanchi. Non ci sono marshrutke fuori ma solo tanti ceffi incazzosi che litigano per avere gli unici viaggiatori ma al contempo siamo totalmente isolati e loro ostaggi. Non è un momento piacevole. Non sappiamo come uscire da questo posto e con che mezzo. Sappiamo solo che è pomeriggio, che non abbiamo mangiato e che una persona a Symkent, a 200 km da qui ci sta aspettando. Una terribile trattativa, lunga e pericolosa. Qui anche la nostra incolumità un po’ è stata a rischio. Alla fine un vecchio ceffo ci fa fare per 40 dollari 200 km; ma abbiamo perso appuntamento con Svetlana alle 5. Mentre costui guida mangiamo i nostri biscotti e, più distesi, riprendiamo il buon umore lasciando la tensione.
Arriviamo a Symkent dove, ovviamente nessuno è ad aspettarci.
Walter è bravo ad assoldare un altro guidatore per Zabagly che è la nostra meta, la nostra destinazione. Ci arriviamo alle 8 di sera senza sapere dove abita Svetlana; quella pasta di uomo che ci ha portato qui, malgrado avesse ormai assolto il suo compito, l’oscurità e l’orario ci assiste sino in fondo.
Sono quasi le dieci di sera quando abbiamo un tetto, un letto e una cena fantastica, strepitosa, fumante; e la catena del Tian Shian davanti. Notte profonda di sonno.
Come 8 giorni fa il risveglio nella natura. Allora come adesso grandiosa. Allora il deserto Karakum ora la catena del Thian Shan. Sono le prime propaggini dei "Monti del Cielo". Tutto intorno sono vette innevate; queste vicine sono sui 4 mila metri.
Dzabagly è un villaggio di due mila persone con età media piuttosto bassa. Vivono con la natura più che altrove. Svetlana ha sviluppato un ottimo progetto di eco turismo che coinvolge molte persone in queste valli del sud-est kazako. Tante persone lavorano nella riserva naturale. Altre nella biblioteca o nell'ospedale o in altre strutture pubbliche.Certo la parola turismo é un pò grossa e va ben interpretata ed applicata a questo contesto. Qui quasi tutti hanno animali e l' acqua non manca certo.
La lunga passeggiata verso i monti termina lungo la strada del paese che festeggia oggi il suo capo d'anno. Svetlana, donna minuta e capace, sulla quarantina, ci presenta i notabili del paese. Più tardi il pranzo è tutto kazako. Brodo energetico di verdura e carne. Poi un grande vassoio contiene agnello e montone a pezzetti sopra un letto di lasagne. Marmellata, ogni volta è diversa, di mele con piccoli panini caldi e morbidi. Anche questo “agriturismo” non è dietro l’angolo per la gita fuori porta ma ce lo godremo fino in fondo. Il caffè.
Raccontare qui cosa facciamo, cosa diciamo, cosa pensiamo; di storia, presente, filosofia, politica sarebbe tedioso per il lettore.
Facciamo una lunga passeggiata verso mucche e cavalli incontro ai Monti del Cielo.
Salutiamo la famiglia che ci ha ospitato in una ala della casa tutta per noi, non senza le foto di rito. Lasciamo questo villaggio di campagna con le galline e le mucche; costeggiamo queste maestose montagne e andiamo a prendere un treno qui vicino per Almaty, grande città Kazaka.
Sarà un viaggio notturno. Ma è l'inizio di un difficilissimo tratto fino a Kashghar, meta lontana più di due mila Kilometri. Se ci arriveremo. Siamo ancora in piena campagna; la stazioncina è veramente da ricordare; una vecchia enorme stufa appena a fianco di un buco quadrato di 60 centimetri nel muro attraverso i quali poter colloquiare con chi vende i biglietti. Fortunatamente Svetlana e suo marito ci aiutano e poi poi ci salutano.
Ci guardano anche qui come extraterrestri. Quando siamo soli nasce il problema di capire in quale dei due binari arriverà il nostro treno; ci sono due treni in arrivo contemporaneamente e tra i due binari non c’é spazio. Sembra una banalità….
Acqua e biscotti la cena sul solito treno russo; vecchio, sporco e pieno.
Il trillo di Anna mi da il buon umore e la buona notte, oltre che buone notizie sul fronte genoa.
Già da tempo sapevamo che sarebbe stata una giornata sparti acque di questo viaggio. Giornata importante. Per sapere con che mezzo saremmo arrivati in Cina.
Quando e con quale fatica. Se fossimo riusciti ad arrivare a Kashgar o no.
Subito a cercare di capire l'evoluzione del viaggio.
Alla stazione di Almaty arriviamo e in stazione restiamo. Facciamo presto alla biglietteria internazionale dove troviamo il nostro auspicato treno; due cuccette disponibili al piano inferiore e a soli 90 euro. David.....grazie lo stesso.
Molto contenti di ciò passiamo la giornata a vedere questa città dove non ci è nulla da vedere. Però è carino il centro; un passeggio e un via vai occidentale; mangiamo di gusto.
Poi ad attendere mezzanotte e il treno che ci porterà in Cina.
Arriva e prendiamo posto in un ottimo treno dove staremo ben 36 ore.
In treno, al risveglio, la steppa kazaka ci avvolge. E lo farà a lungo. Letture e riposo caratterizzano l'intera giornata.
Al confine il treno sta fermo sei ore, sono tante; sopratutto se senza toilet e senza vagone ristorante; solo acqua e biscotti.
I poliziotti rompono.
Anche oggi per l’ennesima volta: Italia? Toto Cotugno, mafia...... che brutto..... Il treno passa in dieci minuti la terra di nessuno e si ferma…in Cina.
Quando la pazienza delle ormai 7 ore diventa insufficiente arrivano i gendarmi cinesi; gentili e quasi scherzosi ma irremovibili sulla mia guida che tratta Taiwan come indipendente dalla Cina. Non va bene. Non va bene, questo libro è sbagliato. Ma noi siamo persi senza “Lonely Planet”….
Fortunatamente la avevo suddivisa in 3 pezzi; mi sequestrano il pezzo incriminato.
Si riparte ma senza una vera cena.
Urumqui. Siamo in Cina e più precisamente nello Xin’kiang. Quando si dice una grande città veramente cinese alla estrema periferia nord ovest. Siamo stati 36 ore in treno e alla biglietteria stiamo già cercando il mezzo per Kashgar; è mattino e siamo già stanchi; il treno è appena partito.
Occorre tanta forza. Il bus per Kashgar parte tra una ora. Prenderemo quello.
Ci vuole molta determinazione e spirito di adattamento; ma soprattutto tanto desiderio per fare questa scelta: dell’andare la, ora, subito e con quel mezzo; bisogna vedere la cartina per capire dove siamo e dove andremo.
Il tempo per due spiedini velocissimi in un posto degradato....del posto.
Il bus ha solo posti sdraiati; stretti 60 cm, lunghi 180 e alti 1 metro. Non c’è mai limite alla scomodità. Anche qui paradossi igienici: senza scarpe sul bus. Per fare pipi alle soste è una sofferenza uscire dal loculo e mettersi le scarpe. Ma é anche utile, indispensabile anzi uscire un pò e rompere la monotonia del viaggio.
La bellezza dello scenario esterno ripaga. Ai bordi deserto e talvolta canyons tra rocce dalle mille sfumature.
Viaggio, come dire, scomodo per altre ventiquattro ore, sdraiato; io, fortunatamente, ho dormito molto.
Arriviamo a destino.
Siamo veramente molto stanchi. Le aspettative sono alte; e subito la suggestione di questo posto prevale. Ma alla sera scema un po’ sia perché siamo in una zona semi nuova e non interessante sia perché la famosa cucina “uigura” non la vedo, non la sento e mi delude.
Giriamo la città ma non riesce ancora ad affascinarci; siamo forse nell’angolo più sperduto dell’Asia; in una regione storica con cultura lontana da quella Han classica cinese; regione calda, viscerale e sanguigna; separatista; gli abitanti con caratteristiche somatiche più turche che cinesi; ambiente e cultura molto vecchi, ben difesi nei confronti del rinnovamento e dalla occidentalizzazione voluta da Pechino.
Il mercato domenicale e del bestiame é il più importante dell’Asia; il trascorrere del tempo non ha lasciato il segno.
Ecco perché abbiamo fortemente voluto arrivarci; è stata una deviazione che ha allungato il percorso di circa due mila e cinquecento Kilometri; ci aspettiamo molto e abbiamo investito tempo e fatiche immense.
Piano piano ci accorgiamo di tutto ciò che cercavamo. Al mercato e nella città vecchia scopriamo pienamente questo posto; così peculiare, lontano, diverso. La etnia uigura, separatista, musulmana; contesto lontano dall’occidente come nessun altro posto al mondo da me conosciuto.
Poche macchine, tante bici e motorini elettrici. Lentamente mi sento ripagato dei sacrifici. Il mercato di Kashgar. Bisogna vederlo, come la città vecchia e i suoi spaccati di vita quotidiana dove ad ogni angolo ….i mestieri.
Qui i ricordi devono fare ben più delle foto; accompagnati da un amico viviamo per ore un film di fantascienza nel passato. Un vero microcosmo musulmano del passato.
La nebbia, inspiegabile quanto strana.
Anche qui acquisti al mercato. Per guadagnare tempo, un solo pasto.
Poi, dopo quasi tre giorni di permanenza, salutiamo questo angolo veramente fuori da ogni rotta; e guardiamo e fotografiamo la famosa schiera di pioppi che introducono la città, come ci viene descritto sui libri; noi siamo felici ed orgogliosi di poter testimoniare. Un grande rammarico, sulla grande mitica catena del Karakorum non possiamo andare. E’ qui a due passi ma sarebbe troppo, non ce lo possiamo permettere.
Dobbiamo andare, ma almeno qui ci siamo stati.
Altri giorni di trasferimento ci attendono; siamo in piena Cina, con le sue distanze. Treno pomeridiano per Quqa dove un comodo alberghetto ci consente di riposare e spezzare un poco il viaggio. E’ una tappa breve ai margini del deserto del Taklamakan e mentre ci si rilassa e si legge, rifletto su questa benedetta seta.
Questo tessuto così particolare e prezioso, dominio secolare della Cina, mi affascina. Furono ferrei i cinesi nel mantenere un segreto nato quasi 5 mila anni fa'. Mi Affascina che un baco che mangia mezz' etto di foglie di gelso in cinque giorni, deposita 500 uova, poi muore. Che da queste, a 18 gradi per un pò, un filamento straordinario e resistente nasca. Eppure tra i capelli di una principessa o nella la barba di un monaco, queste uova sono arrivate così lontano.
Siamo in una zona di depressione fisica assolutamente piatta dove nel corso dei millenni i corsi dei fiumi si sono spostati autonomamente facendo si che oasi e laghi si spostassero facendo impazzire gli storici che posizionavano un luogo in una cartina e duecento anni dopo…nessuno li trovava più.
Alla mattina immancabile mercato. Rifornimento di pane, acqua, biscotti e mele. Alla sera …treno.
Siamo in viaggio per Dunhuang; la Porta di Giada, la porta della Cina, uno dei luoghi più carichi di significato della vecchia storia cinese.
La lingua è inospitale più del deserto. Terminata l’ Asia centrale dove l’inglese, almeno un poco, si parlava e ci salvava, qui in Cina e sopratutto questa Cina, non conosce altro che la sua lingua. Ma quella locale. Non che per noi faccia differenza, ma il saperlo ci deprime ancora. La gestualità e la mimica sono quasi del tutto inutili. Le loro lampadine non si accendono e il buio totale avvolge la nostra comunicazione.
Ma anche su questo argomento le esperienze sono imprevedibili e imperdibili.
Tutto il giorno in treno, tutto attorno al deserto, al Taklamakan. Ma ora da nord a sud, dalla periferia al centro il terreno va lentamente a scendere fino ad implodere sotto il livello del mare, nella grande depressione, il bacino del Tarim.
Facciamo una breve sosta a Turfan. Giusto il tempo per una mail e per comperare acqua e crackers alla cipolla. Con cioccolato e mele farò pranzo.
La strada circumnaviga per gran parte il deserto, un terribile deserto che avrei voluto vedere da dentro. È più grande del Karakum turkmeno, ma forse meno inospitale.
Il treno corre.
Ma come facevano duemila anni fa a percorrere tutta questa…strada....
Certo a Dunhuang, la porta di Giada, allora finiva l’impero cinese. Iniziava....l’ignoto se non proprio l' Occidente.
Ma guardatevi una cartina. Avevano percorso 2000 km dal centro della Cina a qui ed erano appena all'inizio. Per ciò ci mettevano un anno e mezzo per arrivare ai confini dell’Europa.
Quanta gente si sposta anche adesso! In questo treno…con sacchi e pacchi incredibili. Da soli o intere famiglie. Stamane un signore di media età aveva anche attrezzi come una grossa vanga per arare il terreno e uno strumento per tagliare erba. Chissà dove va a cercare lavoro.
Alla fine di una lunga, ma lunga giornata, arriviamo.
Ci troviamo un alberghetto.
E’ mezzanotte: facciamo cena con shashlik e birra in una betola …verace.
Al mattino conosciamo Dunhuang. Una cittadina accogliente circondata dalla sabbia. Stiamo avvicinandoci alla Cina efficiente e d'occidente; stiamo avvicinandoci alla fine del viaggio; ormai in questa fase e in questa zona siamo solo turisti.
Osserviamo e visitiamo le attrattive e i posti migliori, non siamo più attori del nostro quotidiano, siamo meno spinti a trovare improbabili interlocutori; inoltre potremmo spegnere il cervello e arriveremmo ugualmente a destino; non siamo più stranieri, siamo turisti.
Pranzo ottimo con un piatto immenso di pollo e verdure; peperoni in sugo e tanto peperoncino. Ceno benissimo, finalmente.
Oggi le grotte. Le famose grotte di Mogao. Uno dei grandi tesori dell’arte buddista mondiale. All’apice dello splendore il sito ospitava 18 monasteri , uno attaccato all’altro, più di 1400 religiosi tra monaci e monache e innumerevoli artisti, traduttori e calligrafi. Qui si fermavano tutti per mille motivi diversi e qui, capirete, fioriva la cultura e la storia.
Sono molto belle e suggestive. Bisogna leggere e farsi spiegare; vedere e leggere per capire per bene.
Pranzo bene anche oggi; riso fritto con cipolle e pollo, pomodori e carne d'asino; a sera ravioli.
La mattina c’è il nostro amico tassista, convinto a fatica ieri sera, pronto ad aspettarci. E come tutti i giorni, malgrado tutto, riusciamo a comunicare. Bomboloni caldi e caffè a colazione; e via. Treno a Liuhuan. Sono le 15. Un treno, meglio, un vagone eccellente. Un pò di lettura ed è quasi ora del vagone ristorante. Ottimo anche lui. E con 35 euro di treno evito albergo e faccio 1700 km quasi senza accorgermene.
Stiamo andando verso Xi'an, che non è un paesino ma una metropoli immensa e moderna.
Immense aree coltivate, lungo il percorso. Per ore si vedono solo campi e contadini al lavoro.
Sento sul treno una tipica melodia cinese che ben si confà al panorama e al contesto che osservo; cinesine e cinesini con cappelli di paglia curvi nei campi.
Sembra proprio opulenta la zona; forse la parola è grossa ma i più non sembrano disagiati e disperati come il contadino di qualche giorno fa, errante in viaggio a lavorare.
Xi’an: città molto grande e moderna, quella che vediamo. Ci sarà anche qui la Xi’an vecchia e disperata; quella che vedo è una grande ex capitale modernissima. Le due torri nel centro della città ci introducono alla sua storia, lunga millenni.
Almeno qui in centro c’è la vitalità, la gioventù e forse la ricchezza della parte più americana della Cina. L’albergo è centrale.
La cena: immenso pollo e riso fritto; non ho fantasia e quella poca l’ho persa ma mi piace da morire.
Qui non siamo più viaggiatori; non scopriamo, inaspettate, le cose, i paesi, le situazioni o le persone; so bene di ripetermi ma se lo faccio é perchè l'ho vissuto e provato; qui siamo turisti e dobbiamo solo vedere.
Va bene così perché comunque è un bel visitare, oggi.
È il giorno dei guerrieri in terracotta.
Senza preamboli e senza giri di parole: sono veramente straordinari.
Cin Shi Huadin proprio perché pazzo fu geniale. Un grande impero necessita di un grande esercito, ma anche vigile sulle spoglie dell’imperatore dopo la sua morte. Fantastiche le otto mila figure a grandezza naturale, tutte diverse le fisionomie dei soldati e straordinarie le riproduzioni di tutte le figure esistenti in un esercito.
Pazzesca l’idea; pazzesca la realizzazione come l’occultazione e la conservazione per duemila anni.
I 35km per tornare alla città con uno sgangherato autobus, in una sgangherata via polverosa sono uno spettacolo non documentabile. Per come questo autista si fa strada tra le buche, tra la gente, tra la polvere, tra gli animali.
Siamo ancora a Xi’an; apprezzare le mura della città prima di uno spuntino...cinese. Disprezzare il traffico di questa città; è ....cinese. Internet mi porta dai miei affetti. Cena di qualità.
Oggi ancora visite. Bella la pagoda della Oca Grande.
La sobrietà e la solida maestosità quasi romanica. Del 600 per raccogliere fedeli e scritti buddisti che un monaco poi avrebbe tradotto. Un gran bel contesto nel verde.
Poi ancora camminare per non averne più del traffico e della quantità di gente nelle strade. Traffico immenso anche in stazione dove puntuale il treno porta a Pechino.
E’ bellissima la sensazione nel tornare al vecchio albergo: quello di 12 mesi fa; e ci troviamo un amico, un ragazzo di 20 anni; mi sembra di essere vecchi amici ….
Tempio del cielo. I Giardini d'estate. Bazar e strada verso Thienammen. Stesse vecchie sensazioni; sarà che ci sono entrato decine di volte in questa piazza enorme e straordinaria ma…è sempre grande fascino. E ci torno sempre molto volentieri.
Il giorno dopo è il festival degli acquisti e della contrattazione. Ho comperato di tutto. Poi le due ragazze ingannatrici, poi il giardino d’estate.
E’ il 7 aprile. E ancora TIENAMMEN per l’ultima volta; ancora tanti incontri e tanta gente che ti vuol parlare e fotografare.
Gli zaini e via all’aeroporto.
Fine di un altro viaggio, fantastico.


In costruzione, presto online...
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