Giorgio Dellacasa
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TRANSIBERIANA

Quattro tassisti stanno guardando la nostra cartina e il foglietto dove è indicato l’indirizzo del nostro albergo; discutono animatamente per dare le giuste istruzioni al nostro tassista sul dove portarci e che strada seguire. Sembrerebbe una operazione facile ma sono a convegno da dieci minuti; quasi ci estraniamo dalla loro discussione per familiarizzare con il mondo che ci circonda; siamo a Beijing e sta iniziando la nostra avventura. Il volo è stato buono anche se abbiamo dormito molto poco. Ricordo che ho guardato e riguardato le ali dell’ aereo; cosi lunghe e affusolate da attirare la mia attenzione, una sensazione di libertà che pervade e ci fa sentire a nostro agio. Scendiamo veramente stanchi a mezzogiorno.
Ora i tassisti hanno capito; ci sono voluti più di venti minuti e finalmente partiamo per arrivare molto dopo, malgrado il nostro albergo sia relativamente centrale; ma Pechino e’ veramente grande; appena in hotel ci sistemiamo ma prima lottiamo ancora con la lingua, con gli addetti dell’hotel e la prenotazione: e’ un incubo, e’ impressionante e capiamo bene cosa significhi perché neppure i gesti che la accompagnano ci aiutano.
A cena, li vicino, pecora; in frittelle con pepe e in arrosto spezzettato con peperoncino; birra.
E’ mattino. Sono quattro ore che siamo in stazione incuriositi ed estasiati dal brulicare delle persone, dai grandi e incomprensibili display luminosi; scopriamo però che il prossimo treno internazionale per la Mongolia partirà tra sei giorni poiché e’ partito ieri. Non possiamo aspettare tanto. Facciamo la spola tra la stazione e un grande hotel delle vicinanze dove c’e’ ufficio distaccato per passeggeri stranieri; la comunicazione é difficilissima; usciamo e rientriamo per trovare certezze, o per avere nuove speranze. Dopo tanti no, tentenniamo ma non ci arrendiamo alla evidenza e consultiamo la guida per avere spunti. Quando uno dei due é rassegnato l’altro da l’ultimo colpo di coda e viceversa. Ma ci sarà un modo per andare in Mongolia senza aspettare una settimana! Decidiamo allora di fare il percorso a tappe, seppure con molte incognite e dopodomani prenderemo un treno per Jenings, 400 km sopra Pechino e là ci sarà pure un treno che porta a Herlian, il confine! A Herlian qualcosa troveremo, ammesso di riuscire ad arrivarci. Alle 16 abbiamo in tasca un biglietto per dopodomani, venerdi, e non e’ stato facile ottenerlo. Ora possiamo pensare a oggi e domani.
Siamo in piazza Tienammen. Grandissima, affascinante. Ce la godiamo…..quando una vocina: Where do you come from?.....Per tre ore stiamo insieme a queste due studentesse. Sono di una regione al sud ovest e studiano qui il perfezionamento al loro già buono inglese. Siamo….come dire …accoppiati, sono molto gentili e si vede che desiderano stare con noi….saranno pagate per far sentire a proprio agio i turisti? Non credo che ci stiano tacchinando…pero’ sono molto disteso e contento e ….il mio inglese diventa perfetto; ci spiegano alcune cose di Tienammen, di Pechino, parliamo delle nostre famiglie, delle loro e dei loro studi; andiamo negli Hutongs e poi, ahimé, ci lasciamo; loro vogliono sedersi a prendere un the, Walter no e …io non so mediare velocemente….peccato. Mi dispiace.
Alle 20 cena a sud di Tienammen. Brodazza piccantissima con verdura, maiale a pezzetti e spaghetti. Birra e Ice cream al coffee. Dato che dobbiamo lasciare Beijing un giorno prima del previsto o rinunciamo alla Città Proibita o al Big Wall. Andiamo alla Città Proibita anche dopo esserci consultati con dei ragazzi conosciuti nell’albergo. Tempio dei Lama e Tempio di Confucio; tripudio di colori e atmosfera fantastica; peccato un po’troppa gente ma la Città Proibita è veramente molto bella e interessante. Restiamo affascinati da un mondo così diverso dal nostro. Siamo sempre, chissà perché, vicino a Tienammen e alle 14 affamati ci troviamo a cercare un ristorante. Lo vogliamo vero, bello, in armonia con il nostro spirito e l’ambiente; caratteristico e impossibile da dimenticare; ma il tassista in riscio non capisce ne “ristorante” ne tantomeno “indimenticabile”; si ferma…ferma una persona per vedere se ci capisce ma ….niente; nessuno capisce che vogliamo mangiare. Ma alla fine ci capiamo, insistiamo che sia un ristorante importante, anzi eccellente. Lui, poverino, corre e ci porta forse nel miglior ristorante dell’Asia….sia dal punto di vista ambientale…che di livello extra….semplicemente quanto richiesto. Entriamo in questa costruzione di epoca antica e di arredo principesco. Quattro ragazze in chimono ci fanno entrare in un immenso salone dove una tavola apparecchiata per due sta in mezzo a uno sfavillio di colori antichi centinaia di anni. Questa è una reggia d’altri tempi. Ma siamo incontentabili….e’ troppo….forse ci spaventiamo di quello che potrebbe costare o del fatto che il nostro abbigliamento non è consono alla situazione; forse siamo stanchi e allora…forse non abbiamo tanta fame …e’ troppo e, vergognosamente, decliniamo; salutiamo e di fretta, ce ne andiamo; dopo un po’ mi assale di nuovo il pentimento …..ogni lasciata è persa ed è gia la seconda…in due giorni.
Alle 16 riusciamo a pranzare, e bene: anatra alla pechinese, semi di anguria tostati, fette di pane caldo sottilissime, birra. Abbiamo fatto una decina di kilometri a piedi. Arriviamo all’ albergo stanchi: mail a casa , zaini da preparare e per cena solo cappuccino e torta. Stanchi ma soddisfatti ci prepariamo perché domani inizia la Transiberiana. Andiamo in taxi verso la stazione dove ci sono migliaia di persone; sul treno, per noi, scompartimento a 4 cuccette e siamo soli, per il momento.
Sono le 9 e fino alle 17 sarà lunga; vediamo la grande muraglia da lontano…e inizio a sognare…poi si vedono i primi stagni di neve e ghiaccio…il clima fuori cambia in continuazione. Giriamo lungo il treno e curiosiamo questo habitat per noi inusuale….il riscaldamento a carbone….attingiamo l’acqua calda dall’erogatore della carrozza per farci the o caffè; tra poco saremo arrivati. Sapremo quindi se il confine e Ulan Baator sono più vicini o ancora lontani.
Siamo a Jenings. Scendiamo e ci appare una stazione e un paesone della campagna cinese; qui la lingua sarà come se non esistesse, come essere muti. Ma noi, Walter ci aveva pensato, abbiamo un foglietto sul quale i nostri amici di Beijing ci avevano scritto: “vogliamo il primo treno per Herlian”, ovviamente in cinese….e speriamo non ci facciano domande...stiamo in coda un bel pò alla biglietteria e arrivati al vetro la adrenalina é alta….non esiste un piano di riserva. Pochi istanti, solo per fare segno su un altro foglietto se preferiamo posto duro o soffice e tutto fila liscio. Abbiamo i biglietti del treno per Herlian grazie ai foglietti . Siamo letteralmente euforici e non ci accorgiamo che la gente ci guarda come se fossimo extraterrestri…ma questi due, saranno occidentali…ma qui cosa ci fanno? Il biglietto e’ per le 24 e 30 di oggi…fantastico solo il tempo di mangiare……e poi potremo partire per il confine. Ci guardano tutti, ora ne siamo assolutamente consapevoli; all’inizio cerchiamo di essere noncuranti d’essere al centro dell’attenzione ma il cerchio pian piano si stringe e una donna, prima in modo discreto poi con insistenza vuole proporci qualcosa; probabilmente ci vuole offrire da dormire…noi spieghiamo, si fa per dire, che non ci serve un letto….facciamo vedere il biglietto; alle 24 abbiamo il treno; e il cerchio si stringe anche fisicamente perché sempre più persone ci stanno intorno. Passa il tempo e questa donna e’ sempre più assatanata; un signore tra quelli che ci stanno intorno ci fa capire di saper parlare inglese; fantastico; lo conosce veramente poco e con fatica noi spieghiamo a lui che…ringraziamo tutti ma tra 4 ore partiamo…..Lui si convince e parla alla donna ma forse a sua volta si fa convincere e torna alla carica con noi… La gente cresce, saranno ora almeno 20 persone…io mi divincolo per fare foto al gruppo dove regna l’incomprensione; forse allora vorrà offrire cena….ma noi ora siamo stanchi e stufi di questa improvvisa celebrità …riusciamo a scappare. Fuori della stazione non ci sono insegne, entriamo in un vicolo per non correre rischi e siamo di nuovo soli; ripassa quel ragazzo e al terzo tentativo capisce “restaurant”…prendo un foglio e gli faccio scrivere il nome…..é la dietro….ci arriviamo. Sei cameriere ci assalgono e cominciamo a prenderla in ridere, forti del fatto che il treno è assicurato e siamo comunque in un ristorante; sarebbe banale retorica dire che il menu in inglese qui non c’è. E naturalmente non ci capiamo.
Dopo un po’ da un tavolo vicino un signore che finalmente mastica un accettabile inglese ci aiuta a ordinare; finalmente; esausti e felici assaporiamo una buona cena…piatti curati , di qualità, verdure piccanti, riso, ravioli al vapore, birra…abbiamo speso euri 2 e 90.
Sono le 24 e siamo accasciati sulle panche della sala di aspetto di una cittadina sperduta nel nord cinese; quante volte ho visto ragazzi alla stazione dormire sugli zaini….ora ci sono io e mi sembra tutto strano; sono stanco ma sereno; e’ tutto ok…o c’e’ qualcosa fuori posto? Arriva il treno…sono nella cuccetta superiore….e’ molto tardi….ci addormentiamo.
Sono le 6 e mezzo del mattino e il treno arriva a Herlian. Assonnati, scendiamo dal treno, ci accoglie una alba gelida…cerchiamo di capire se ci sono treni diretti verso Mongolia, ma neanche l’ombra; o il treno internazionale che arriverà da Pechino tra 5 giorni oppure…..nulla. Bisogna cercare di passare il confine e chiediamo a un tassista che ci dice, si fa per dire: "OK per 5 yuan a Zamin Ude"; è come se fossimo a Chiasso e volessimo andare a Lugano. Gli facciamo vedere la banconota cinese, come fosse mezzo euro. Non ci sembra vero…cazzo, fantastico; saliamo in macchina e siamo felici mentre partiamo. Dietro l’isolato il taxi però si ferma e…siamo arrivati. Lì il signore che ci viene indicato ci porterà in Mongolia tra un po’, più tardi…..per la tariffa ci dovremo accordare. Ci pareva strano…
Trattiamo il prezzo riempiendo un blocchetto notes in tante pagine dove a turno, noi e poi lui, scriviamo una proposta di compenso e alla fine ci accordiamo.
Passano i minuti e anche le ore; in realtà aspettiamo altre persone, e cose, e pacchi che devono varcare il confine….aspettiamo tante cose e tante persone; alla fine dopo quattro ore siamo in otto sulla jeep con due zaini e sei grossi pacchi; la macchina tossicchia stracarica …e va…verso il confine; sulla terra di nessuno c’é il deserto, il Gobi e si vede in tutta la sua aridità.
Dogana, burocrazia, attese e alla fine rispunta da dietro l’angolo il nostro amico con la jeep; da dove sarà mai passato, e con quali intrallazzi?.... ci ricarica dopo qualche centinaia di metri; percorriamo pochi chilometri e arriviamo a Zamin Ude, la prima cittadina di confine sul lato mongolo; ancora discussioni sul prezzo ma, pazienza, siamo passati; insieme a chissà quanti oggetti proibiti e faccendieri trasportati dal nostro… contrabbandiere…
A Zamin Ude non c’e’ molto; facciamo subito il biglietto del treno per Ulaan Baator, la capitale della Mongolia , lasciamo gli zaini al deposito bagagli e facciamo un giro nella cittadina di frontiera; telefoniamo a Mejet e Bilegt che ci aspettano a Ulaan Baatar; il loro nominativo ce lo aveva dato una amica di Genova; questa coppia avrebbe potuto ospitarci in casa loro e Mejet avrebbe potuto portarci a fare un itinerario di alcuni giorni all’interno della Mongolia.
In attesa del treno facciamo un ottimo pranzetto in un posto dimenticato da Dio ma dove il dizionarietto ad immagini che mi ha regalato Anna risulta assolutamente indispensabile per la comunicazione. Internet point ci fa sentire più vicini a casa e poi la serata all’aperto , con il sigaro tra le dita e la mente un pò a casa; arriva il treno. Mi spetta ancora il letto al castello superiore; ci risvegliamo in pieno deserto del Gobi e di li a poco il treno arriva a Ulan Baator.
Bilegt e Mejet ci aspettano con un cordiale cartello che recita i nostri nomi. In casa loro una stanza e’ a nostra disposizione; e tanta calorosa accoglienza. Lui è un geologo e lei una pediatra; non sono certo ricchi e hanno scelto di proporre B&B a tempo pieno abbandonando la loro originaria professione. Parliamo molto, in inglese ovviamente; facciamo doccia, utilizziamo il computer e tutto ciò che hanno è a nostra disposizione.
Domattina partiremo con Bilegt per il country side; staremo via sei giorni con il fuori strada; dobbiamo ora preparare l’avventura, quindi andiamo al supermarket per i generi di prima necessità; dal caffe alla acqua, al salame e ai biscotti. Visitiamo un pò la capitale nel pomeriggio e palpiamo la grande, cadente e decadente città, tipicamente sovietica, e le sue immancabili modernità. Rientriamo al nostro nuovo focolare domestico per la cena tutti insieme.
La cena in questa casa la ricorderemo a lungo; e’ nella più genuina tradizione famigliare mongola. Tutti, anche noi, a piedi scalzi; ci sono tre generazioni qui in in casa e noi siamo contenti ed orgogliosi di essere qui; qualcuno seduto per terra con il piatto in mano, altri sullo sgabello; i ravioli al vapore fatti davanti ai nostri occhi sono straordinari; insalata e pomodori, dolci e caffe.
Prima di partire andiamo in stazione per prendere i biglietti del treno che ci serviranno tra una settimana.. Il 12 alle 21 e 10 partiremo per la Russia.
Il fuoristrada si muove alle 11. Entriamo presto in una steppa che ha il sapore di un deserto, é semplicemente una prateria stepposa dove l’erba é particolarmente corta o inesistente a causa dell’inverno esageratamente rigido appena concluso. A pranzo riso, in una osteria di un villaggio, gulasch e acqua tiepida per dissetante. Nella steppa tanti animali qua e la cercano il cibo che non c’é. L’inverno ha lasciato pochissimo e le pozze per bere sono ancora ghiacciate.
Nel tardo pomeriggio arriviamo al monastero Erdene Zu. Il contesto mi lascia a bocca aperta; una piccola insenatura nelle colline di fronte al paesaggio semi desertico; lo scenario del monastero ispira la meditazione in un contesto così affascinante. La sera nella gher; è la prima volta che trascorro la notte in una tenda di questo tipo; in un posto simile e con un tetto come questo e le emozioni si susseguono incalzanti; per cena pasta, tonno, formaggio, biscotti e caffè sembrano eccellenti ma è ovvio che il merito è solo dell’ambiente.
Non so se mi sembra di essere in una tenda indiana o in mezzo alla steppa mongola ma è forte l’emozione di ogni atto; allora guardo il foro sulla sommità della tenda che consente al fumo di uscire e al freddo di entrare, poi aggiungo pezzi al fuoco senza voler immaginare la possibile temperatura tra qualche ora a fuoco spento; guardo il mio sacco a pelo non preoccupato ma desideroso di testarne l’efficacia, scatto qualche foto dispiaciuto di non poter condividere l’emozione con Anna e poi esco qualche minuto a guardare le stelle e ad apprezzare la fortuna che ho.
L’alba e la visita nel piccolo monastero. La signora, che è la custode dei tre piccoli edifici, ci fa vedere le reliquie custodite dei monaci che furono; manoscritti avvolti in drappi e altri oggetti; le foto non rappresenteranno mai ciò che si prova; ci attardiamo in ogni punto, fotografiamo ogni angolazione e ogni dettaglio e fuori, infine, apprezziamo il nevischio che cade sugli scoiattoli e sugli altri piccoli animali che popolano questo magico posto.
Alla mattina proseguiamo un paio di ore lungo il nostro itinerario e visitiamo il grande monastero di Kharakhorin; anche questa visita é una esperienza fantastica; le sensazioni della storia, della fede e della meditazione avvolgono i racconti circa il passato e il presente di questo posto.
Nel 1935 i bolscevichi avevano distrutto moltissimo ma i monaci avevano nascosto quanto potuto nelle caverne di ciò che risaliva al 1600. Sono affascinanti le mura, gli edifici bassi, le suppellettili, le statue; i colori e ciò che rappresentano: il giallo, la conoscenza; l’arancio, l’amore; il rosso, il sangue e la gioia; l’azzurro, i cieli e l’infinito; il bianco, il latte materno e la vita; il grigio, la terra e il lavoro.
Usciamo dal monastero e per pranzo ci sono per noi noodles asciutti e acqua calda. Proseguiamo.
Siamo in viaggio in piste appena segnate e si arriva all’improvviso al sito dove vivono le famiglie degli amici di Mejet. Una fattoria, isolata da altri villaggi, sulla sommità di un gruppo di colline; tre famiglie; quattro gher, una è per gli ospiti che ovviamente siamo noi.
Si, siamo noi gli ospiti e abbiamo fatto il giro di tutte e tre le famiglie per gli ossequi di rito che si sposano alla calda e genuina ospitalità di questa gente, ospitalità davvero molto inusuale per noi. Tanto inusuale che resteremo imbarazzati e inattivi.
Qui siamo nel più genuino e naturale degli ambienti possibili, qui ci muoviamo e ci sentiamo come mai ci era capitato. Ciascuno ci ha offerto qualcosa, il formaggio, i biscotti, il the con latte, il fumo e la vodka; alcune di queste cose nella coppa comune. Gli anticorpi ce li siamo giocati tutti in una ora.
Facciamo un giro all’aperto e ci sentiamo liberi e felici in un mondo che non é il nostro.
Ora siamo noi due nella nostra tenda, il cielo si intravede dal foro in alto e alimentiamo la stufa. La gioia di essere qui e un piccolo dolore: la toilet é un buco all’aperto, a cento metri dal campo, protetta da tre paratie alte mezzo metro. Mejet, nel rispetto della privacy degli ospiti, ci lascia soli nella nostra gher. Allora facciamo uno spuntino serale con gli alimenti che abbiamo e chiudiamo con un bel caffè caldo.
Poi usciamo un pò, anche a riflettere.
Non possiamo fare a meno di apprezzare in tutta la sua interezza la nostra fortuna e cosa sia viaggiare…Al pari di un abitante del posto, essere soggetto attivo della propria quotidianità, interagire con le persone nella migliore simbiosi possibile, evitando di contribuire, come il turismo di massa, al deterioramento dei costumi. Persuasi di dover ricordare la fortuna di essere nati da questa parte del mondo siamo comunque un po’ invidiosi di tanti aspetti della vita di questa gente non contaminata dalle leggi economiche che regolamentano il nostro sistema di vita; non possiamo che sperare che il loro processo di modernizzazione sia lento.
Rientriamo consapevoli che proprio oggi, così incantati, ci comportiamo come turisti inattivi.
Ma ora è bene tornare a omaggiare il capo famiglia prima della notte: ci sediamo e facciamo conversazione attraverso l’interprete, Mejet; ci viene offerto un raviolone di montone appena fatto e beviamo vodka in un calice comune.
La mattina ci svegliamo nei nostri sacchi a pelo quando sentiamo la porticina della gher aprirsi; la giovane figlia del capo famiglia viene a riattivare il fuoco. Facciamo finta di dormire ma riusciamo a vedere che riscalda l’ambiente, prepara acqua calda per lavarci e prepara per noi una bevanda bollente.
Lentamente, per non far scorrere veloce il tempo, facciamo la colazione con the e biscotti; mi lavo il viso con parsimonia di acqua e pigrizia. Le famiglie sono al lavoro da ore quando noi usciamo all’aperto in questa fattoria; ma quanto lavorano! Le donne poi sono instancabili; hanno 600 animali, ma questo ultimo rigido inverno ha mietuto molte vittime; non per il rigore in se ma per quello che il rigore del clima ha provocato all’erba e all’alimentazione degli animali. I più deboli sono morti, ne abbiamo visto le tracce; ora quelli più sfortunati devono essere curati uno per uno ed ogni mattina qualcuno deve assicurarsi che quell’animale non abbia problemi e possa crescere; comunque occorre alimentarlo e far si che non si allontani troppo; stamane sono nate tre pecore, una e’ morta.
Noi vaghiamo come ipnotizzati dall’ambiente e invece di aiutare chi ci ospita non facciamo nulla, o poco: neppure raccogliere lo sterco secco che è un formidabile combustibile della stufa; l’attività che ci circonda e’ impressionante e forse per questo siamo pigramente atterriti; ma hanno il tempo di preparare il pranzo per noi due: noodles in brodo e agnello in pezzetti, arrosto. Tutto eccellente; Walter beve anche il latte di cavallo, io il the.
Facciamo un giro a cavallo e poi ci allontaniamo a piedi, da soli a fare foto, pensieri, filosofia. Più tardi incontriamo ancora i vecchi nella loro casa; in un ambiente soffuso lui esprime tutta la sua felicita e la sua serenità; e la vita con i suoi animali senza i quali non potrebbe vivere e oltre ai quali nulla gli serve. Questo ricorda qualche ambiente nostrano decenni or sono. Speriamo siano rovinati il più tardi possibile. Noi abbiamo fatto di tutto per non rompere equilibri, disturbare meno possibile; si, resta il rammarico di non aver lavorato di più con loro, non è facile essere buoni viaggiatori.
Cena con stufato di pecora, the e biscotti. Notte fredda; stufa a tutta. Salutiamo, sono stati due bellissimi giorni.
Andiamo a nord; il terreno inizia lentamente a salire e ad imbiancarsi. Qualche albero inizia a vedersi e poi molti di più; sempre più alberi mentre i torrenti sono in parte buona parte ghiacciati. Il fuoristrada arranca bene e diverse volte nell’attraversare i torrenti rompe il ghiaccio, si fa strada e, con nostro sospiro, oltrepassa; sembra di essere in Alaska; di valle in valle la macchina passa da una pietraia al guado di un torrente ghiacciato; le marce sono basse….su e giù…il motore si surriscalda; la spia rossa si accende, un pò di apprensione e dobbiamo fermarci; ci fermiamo con il muso verso il vento freddo e dopo un pò si riprova; ce la facciamo a proseguire.
Dopo un’ora arriviamo a Hot Spring; in un paesaggio quasi siberiano c’è questa sorgente sulfurea che sgorga dal terreno a 90 gradi; le dita non riescono a stare a contatto più di un secondo ed é un buon motivo per ….pulire e disinfettare le mani; in una piccola isola di muschio facciamo pic nic con formaggio, biscotti e caffè; poi una passeggiata nel bosco.
Tzetzerleg. Una cittadina anonima e sperduta; Mejet fa cena e dorme da un amico, noi in un fatisciente albergo e ceniamo con l’aiuto imprescindibile del dizionario ad immagini. In posti come questo mi piacerebbe dire: “portaci quello che vuoi”? Ma con quali parole, con quali gesti…non ci riusciamo.
Ripartiamo verso est, nella direzione di rientro a Ulaan Baatar. Il paesaggio torna ad essere quello di tre giorni fa; attraversiamo vallate immense, sconfinate; il rigidissimo inverno ha trasformato questi pascoli in una steppa infinita; le sfumature dei colori danno la profondità del paesaggio, la nitidezza ci fa vedere a decine di kilometri e più di una volta fermiamo la macchina per godere, apprezzare e memorizzare il più possibile; e’ quasi inutile fare foto, non danno ne l’idea ne la prospettiva.
Ci fermiamo per assaporare tutto e poi ci fermiamo per parlare con Mejet; parliamo del suo popolo, della loro politica, dei loro usi e della sua vita. Poi incontriamo un lago salato e infine il grande lago ghiacciato.
Due puntini molto lontani ci incuriosiscono; non ci sembrano persone; poi si muovono, possono essere animali e ci avviciniamo al bordo; scorgiamo le sagome di due persone, sono pescatori; con il piccone fanno un buco nel ghiaccio e calano l’esca; hanno un grosso sacco pieno di pesci.
Ci allontaniamo e Mejet incontra un amico…parlano un pò e poi Mejet ci dice che quei due in mezzo al lago sono i fratelli di quest’uomo, stanno rientrando e…se vogliamo, pranziamo con il loro pescato.
Certamente si; li aspettiamo, andiamo nella loro gher e, secondo i normali doveri di ospitalità viene preparato pranzo solo per noi due, forse anche perché qui i pasti di una giornata sono….uno; quattro grossi pesci del loro sacco vengono puliti e fritti per noi; il pesce oltre che fresco è eccellente cosi come lo yogurt secco, di cui facciamo incetta.
Mentre mangio lo squillo di Anna mi fa pensare a Lei; non so come ci sia campo per il telefono….ma sono ancora più felice.
Attraversiamo ancora per ore pascoli e steppe e finalmente arriviamo a Daischilen .Qui facciamo cena e pernottamento in camera molto …spartana; ma il mio stupido problema é che il mio telefono non ha campo e non riesco a telefonare; e allora sono triste e rabbioso. Salto la cena. Sono anche stanco ma la notte sarà lunga, di 10 ore.
Si riparte per Ulaan Baatar. Ancora qualche foto a questo splendido paesaggio dove all’improvviso ci sorprende una breve tempesta di vento; poi si placa , il tempo di vedere tre avvoltoi che al nostro avvicinarci cercano con fatica di alzarsi in volo; l’apertura alare non facilita certo la partenza da un prato.
Non smettiamo di guardarci intorno e riempirci bene l’animo di ciò che ci circonda che è incontaminato e ci avviciniamo alla città. Rientriamo in famiglia dove Bilegt ci prepara la cena , ci lava gli indumenti e li asciuga; poi doccia e preparazione degli zaini.
La cena e i saluti a una famiglia che ci ha veramente fatto sentire a casa.
Il treno, porta la scritta Irkusk, in cirillico. Domani siamo in Siberia.
All’alba siamo vicini al confine. Come in molte stazioni, ma soprattutto di frontiera, gente di commercio entra ed esce, anche in modo un pò invadente dalla carrozza. Dopo il via vai, un pò rumoroso e caotico, le formalità di frontiera.
La polizia russa sale sul treno e l’atmosfera cambia; sguardi e controlli sono rigidi; le disposizioni, austere e perentorie. Mi fanno cancellare due foto. Il tutto dura otto ore; si riparte.
Il paesaggio e’ molto diverso dopo una corsa nella notte verso nord; più alberi intorno a noi e la fine della steppa annuncia l’ inizio della taiga. Ci avviciniamo a Ulan Udè, sponda orientale del lago Baikal. Peccato, é il tramonto e questa circumnavigazione del lago, uno dei punti più belli, non lo potremo vedere perché sarà notte; questo treno é lento, siamo stanchi e abbiamo il gusto del carbone in bocca.
E’ sera, entriamo in Ulan Udè, senza scendere e vediamo che abbiamo fatto, da Beijing a qui 2200 km di ferrovia. E non siamo che all’inizio.
Notte corta e insonne; il treno arriva presto e alle 5 e mezzo la provonitza, ci chiama; dobbiamo rassettare la …camera, restituire lenzuola e cuscini e prepararci a scendere. Mi piacerebbe parlare di questi treni e delle provonitze, regina di ogni carrozza, ma sarà per una altra volta.
Neve e freddo, molto freddo. Fuori della stazione di Irkusk c’è la Siberia e il termometro segna: meno 12. Prendiamo un taxi per Litsvianka in riva al Baikal. E’ sempre più freddo, il Baikal e’ ancora totalmente ghiacciato.
Questa immensa riserva idrica naturale di acqua dolce é grossa un poco meno dell’Italia; sconfinato e trasparente questo profondo lago ha decine e decine di record che gli scienziati non si sanno del tutto spiegare. Ha una visibilità, in estate ovviamente, di 40 metri; pazzesco. A chiunque guardi sott’acqua crea forti vertigini; non si conoscono tutte le specie di pesci dei fondali ma quelle conosciute non riescono a vivere in nessun altro contesto simile e quel che é più strano é che quelli di altri posti simili non riescono a vivere qui.
Speravo di fare una escursione all’interno della taiga e andare verso il Mar Glaciale Artico ma non troviamo nessuno che ci aiuti in questo senso; troppo tardi nelle stagione.
Tocchiamo da vicino la profondità di questo ghiaccio.
Restiamo un giorno in casa di una famiglia dove il caldo interno contrasta paurosamente con quello esterno.
Una signora di mezza età cresce una bellissima bimba di otto anni, bionda e gioiosa; allegria in contrasto netto con quella che sembra essere la nonna; l’uomo di casa solo a sera rientra dal bosco e sembra necessitare di alcol per migliorare il proprio umore; ci immaginiamo che la madre sia assente e abbia preso altre strade.
In giornata torniamo a Irkusk e troviamo albergo con personale poco incline alla cortesia e a fare un piccolo sforzo per capirci; cosi come al ristorante. Non sono dolci, cortesi e ospitali come altrove. Giriamo tutto il giorno.
Se la gente del posto non ci entusiasma, questa città e’ molto bella. La nascita e la storia di questa città è legata al movimento “decabrista”. Furono un gruppo di aristocratici, letterati e ufficiali dell’esercito che fallirono maldestramente una insurrezione allo Zar Nicola II a San Pietroburgo; mandati in esilio, insieme ai più poveri, andarono in Siberia; ma furono seguiti dai loro amici, dalle loro donne in questa sterminata regione dove soprattutto loro furono le protagoniste. Le aristocratiche, le ricche e le povere seguirono a distanza i loro compagni in questo lungo viaggio a est; anche loro andarono in miniera, volontarie e per solidarietà anche ai lavori forzati; tutti insieme, aristocratici e poveri, uomini e donne, giovani e meno. Nei decenni successivi, fecero fiorire Irkusk sia sotto l’aspetto architettonico che sociale e culturale.
Una altra spinta a questo “inspessimanto” qualitativo la città lo ebbe 100 anni dopo con l’altra ondata di immigrazione forzata provocata, ahimè, come effetto collaterale dei gulag staliniani. Apprezziamo questo gioiello di città.
Oggi alle 16 partiamo per Krasnoiark; saranno 17 ore di treno e da li faremo una deviazione per vedere una città a cui teniamo molto: Tomsk. Davanti alla stazione di Irkusk, prima di partire cerchiamo qualcosa da mangiare. Ci infiliamo in una stradina e troviamo una “bettola”, veramente tale, ma veramente autentica da irrobustirmi il buon umore; fuori un uzbeko ci fa spiedini al barbecue, dentro ci sediamo e con una birra la cena e’ pronta. Dopo aver mangiato esco e offro una sigaretta al…cuoco ed é bello scambiare quattro parole…a gesti; è la nostra felicita.
Siamo sul treno, il Baikal, il n. 9; é il fior fiore della Transiberiana; é tutto un altro treno, in qualità. Socializziamo a lungo con un giovane controllore delle ruote dei treni che ora si sta spostando in treno con la famiglia. Qualche parola di inglese, qualcuna russa o francese e poi tanta mimica; é bello e interessante provare la gestualità anche per esprimere concetti complessi e sensazioni; non solo verbi od oggetti; questo tipo di esperienza, non certo per la prima volta, si rivela molto interessante; tra una birra e l’altra ci fa vedere anche le foto della sua famiglia e questa é una usanza asiatica, o forse è semplicemente una usanza giusta tra persone che non vogliono essere sconosciuti; anche noi chiediamo aiuto al nostro cellulare per far conoscere i nostri familiari. Siamo certamente d’accordo tutti sul buttare giù dal treno sia Putin che Berlusconi.
Ci svegliamo con la taiga imbiancata; arriviamo a Krasnoiarsk , una stazione bellissima; la ricorderò sempre per i mosaici degli scioperi e di Lenin. Ci addentriamo nella città; e’ bella ma fa molto freddo. La permanenza qui è molto breve.
Il treno per Tomsk non fa parte della Transiberiana, è una deviazione; é un treno locale che porta a casa le persone più diverse.
Certo é un ambiente, dove ci troviamo noi ora , non confortevole e neppure del tutto rassicurante: uomini dai modi e comportamenti della periferia disadattata, cosi sembrano ai nostri occhi; qualche ragazzo un pò troppo macho e negli scompartimenti vicini, schiamazzi. Siamo vicini al tramonto, dobbiamo passarci la notte e chissà, se girasse dell’alcol , la situazione potrebbe diventare spiacevole.
I nostri posti assegnati sono le due panche superiori. Sotto, davanti a tre ragazzi, in realtà due ragazzi hanno in mezzo una ragazza il cui viso non sembra tranquillo, c’é il tipico boss che legge il giornale e ostenta sicurezza e potere mettendo poi il suo serramanico di 25 centimetri aperti sulla ribalta davanti a se; sta accingendosi a cenare mentre noi siamo ancora lontani mentalmente; poco fa ha zittito un passeggero vicino che zuffolava, disturbandolo.
Abbiamo bisogno di valutare meglio la situazione e recuperare una maggiore serenità. Io decido di salire sulla mia panca e vedere meglio dall’alto anche perché mi rassicura essere nel mio piccolo sito; posso sempre rinunciare alla cena….ove necessario. Walter resta in attesa, si guarda intorno in piedi fingendo indifferenza. Passa qualche ora, cambia qualche attore ma l’atmosfera rimane, almeno ai nostri occhi, la stessa. Si, ai nostri occhi, perchè per una distinta signora, seduta di lato a tutto ciò, sembra tutto normale, abituale; guarda fuori del finestrino, poi fa cena, poi prepara la sua panca per la notte.
Ma allora noi siamo prevenuti e non sappiamo leggere la situazione, per noi inusuale? Certo l'atmosfera non ci é familiare ma piano piano ci adattiamo; Walter sale nel suo sito mentre io preparo il mio per la notte: e’ una bara di 55 centimetri per 55 e per 180; ci devo stare io con il mio zaino e il mio giaccone; con qualche accorgimento individuo la migliore sistemazione per la notte e poi, più tranquillo, mi decido ad andare al vagone ristorante, si fa per dire; un piatto, un caffè e torno al mio scompartimento.
Walter non molla la sua postazione, io ci metto tutta la mia agilità per salire al piano superiore senza disturbare il boss. Nella oscurità scorre davanti a me la taigà imbiancata. Spero di addormentarmi…..
E’ mattino; sono scesi tutti alle fermate minori e siamo rimasti soli nell’unico vagone rimasto. Tomsk ci accoglie con i suoi meno 10 gradi.
Un buon albergo vicino alla stazione rende confortevole la nostra sistemazione perché necessitiamo delle cure e comodità occidentali per qualche ora. Facciamo chilometri a piedi in questa bellissima e accogliente città, alberata ed elegante; ci buttiamo in una pasticceria e assumiamo una ingente dose di zuccheri che basterà anche per il pranzo.
Mentre ci riscaldiamo la commessa spazzola per bene e pulisce i bordi della vetrinetta delle torte mentre la polvere ricade sulle stesse; fa parte della mansione di ogni lavoratore, pulire: nel vagone, al caffè, nei ristoranti e nelle stazioni.
Andiamo al rione dove sono intatte e abitate le vecchie casette siberiane.
Sono bellissime; le finestre in rilievo sono una caratteristica inconfondibile; cerchiamo anche di parlare con una anziana signora che ci invita a proseguire il viale alla ricerca di altre case caratteristiche, ancora più interessanti e storicamente famose.
Alle 11 con una macchina attraversiamo la taiga verso sud per raggiungere Novosibirk e riportarci sulla transiberiana.
Una altra stazione, nuova e molto grande.
Troviamo alla biglietteria una distinta signora mezza cinese e mezza russa che ci aiuta e ci consiglia per il treno. Un pò di inglese e un pò di italiano e il Kupe , il vagone letto, e’ prenotato. 5200 rubli per raggiungere Vladimir.
Ci apprestiamo a lasciare l’ultima città siberiana.
Siamo gia nel marciapiede di partenza quando all’improvviso una folla immensa, devono aver aperto qualche cancello laterale, occupa i marciapiedi; sta arrivando il treno e come questo si ferma tutte le porte si aprono. Nulla di strano, ma un attimo dopo, come per un colpo della regia...
......Centinaia di grida, da porte e finestrini, promuovono gli oggetti che mostrano; centinaia di mercanti dalla Mongolia portano a buon prezzo le loro mercanzie. E’ un mercato vero e proprio e la gente che si era radunata valuta e acquista in modo frenetico; centinaia di oggetti , in specie di abbigliamento, vengono acquistati; le grida sono disperate per fare più affari possibili e tutto ciò dura un’ora.
I controllori del treno, per i quali evidentemente sarà una consuetudine, acconsentono a che il mercato prosegua e valutano anch’essi attentamente; adocchiano quello che acquisteranno dopo la ripartenza del treno, indisturbati nelle carrozze. Il treno si muove e ora ci attende il tragitto più lungo, 45 ore, fino agli Urali. Anzi più in la, a Vladimir.
Il nostro treno arriva da Ulaan Baator portandomi un bagaglio di ricordi. E’ infinita questa Siberia, più ancora se guardo la cartina. Sembra tutta uguale ma non e’ cosi; ogni piccolo paese, ogni casetta sparsa qua e la ha le sue caratteristiche spiccate; ogni città ha il suo grande fiume: l’Amur, la Lena, il Tunguska, lo Yenisei, l’Angara, l’Ob. Sono i fiumi più lunghi del mondo e vanno tutti a nord. Ogni città ha la sua stazione, la più bella, o più grande, o più vecchia, o più nuova, magari con un vecchio museo di locomotive.
In ogni stazione ci sono addetti che puliscono in continuazione, secondo metodi diversi; in ognuna gruppi di persone in attesa di un treno sembrano venire dai posti più diversi dell’Asia e hanno i modi, i comportamenti e i sorrisi più diversi.
Ripenso a tutti i posti e le persone asiatiche incontrate. A tutte le cose viste o incontrate; qui in Asia. Con 1 euro ti danno 11 yuan, 1800 tigrit o 37 rubli. Con 5 euro a Pechino ti danno la cena, in Mongolia vitto e alloggio , in Siberia la colazione; con niente in Cina ti danno un sorriso, in Mongolia anche una genuina ospitalità; in Siberia molto meno ma dipende da persona, da che ruolo ha e da quanta diffidenza gli é rimasta addosso.
Lunga notte; al risveglio siamo al km 2150 da Mosca; ne abbiamo fatti già sei mila senza contare quelli in fuori strada in Mongolia.
Ci avviciniamo agli Urali che passeremo nel pomeriggio; in questo pic nic perenne sul treno il tempo scorre lento e mentre faccio l’ennesima foto dal finestrino penso alla storia di questa affascinante ferrovia; fino a metà del 1800 la Siberia era totalmente inesplorata; dopo le prime spedizioni verso il fiume Amur, iniziò la vera avanzata nel far east quando le circostanze interne, per carestie ed esterne, per declino dell’impero cinese, lo consentirono.
Nel 1890 lo Zar incaricò Sergei Witte , uno dei più dotati e intelligenti statisti di sovrintendere a un progetto titanico; dopo meno di 10 anni circa 5000 km erano realizzati, non senza disastri e ostacoli immensi, su tutti quelli climatici. Da qui la storia divenne quella dell’impero russo.
Pensando a questa lenta evoluzione, a tanti rifacimenti della strada ferrata i miei occhi vedono la taiga trasformarsi; ora si fa più verde e lascia spazio a grandi distese di grano.
I treni che incrociamo sono lunghissimi, soprattutto quelli merci; sono di norma una cinquantina di carrozze ma ne ho contate fino a 84; vagoni carichi di carbone o di legno. Stiamo arrivando a Yekaterinburg mentre sorseggio l’ennesimo caffè e guardo la cartina; siamo sopra al Kazakistan; vicino ci sono Afghanistan e Iran.
Scendiamo dal treno un poco, dove la folla fa di nuovo freneticamente mercato. Il treno riparte, la Taiga si abbassa e si dirada; prevalgono i pini che ogni tanto separano i campi di grano; arrivano le prime colline degli Urali. Lasceremo l’Asia per entrare in Europa; in questo lungo e ritmato pic nic sui vagoni che serpeggiano verso Vladimir, alle porte di Mosca.
La cena sul vagone ristorante e’ buona; peccato che in giornata avevo visto e rivisto, persino fotografato, cuoco e cucina.
E’ mattino e arriviamo a Vladimir; mancano pochi km a Mosca, ma ne abbiamo fatti, solo su strada ferrata, circa 8200, quasi 200 a piedi e 1000 in macchina. Da più sette fusi orari ora siamo a più 2 da Genova.
Le prime cupole dorate ci indicano che siamo nell’anello d’oro di Mosca.
Fatichiamo e camminiamo molto, zaino in spalla, per trovare un albergo; con la maitresse poi, in francese, litighiamo circa la “registrazione” degli stranieri, necessaria o no; il marito evidentemente non la soddisfa a sufficienza perche’ e’ civettuolamente irritante.
La visita della città ci distende e pranziamo bene in posto carino dove una gentile ragazza ci aiuta a scegliere con tanta buona volontà, rara nei russi, e ci fa sentire meglio. Vagabondiamo per ore.
Con il bus andiamo a Suzdal, l’altra graziosa, pittoresca città dell’anello dorato; siamo in piena campagna, in un contesto da Medio Evo molto naturale; un bel clima e un buon ambiente ci fanno apprezzare un contesto dell’anno 1000. Ci sono, si dice, più guglie colorate che abitanti qui. In ogni caso si sente che l’Europa è vicina, ci siamo già dentro.
Al ritorno a Vladimir ci attende qualche ora di stress e nervoso, sempre legati alla ricerca di effettuare, in qualche cazzo di ufficio, una registrazione di presenza, prevista dalla legge, che non riusciamo a fare. La stanchezza fa il resto per favorire un poco di nervoso con il compagno di viaggio. Oggi siamo stanchi e per cena andiamo sul sicuro…. dalla nostra affidabile amica. Grande cena.
Al mattino partiamo per Mosca in bus.
Mosca. Alle prime periferie che incontriamo ci rendiamo subito conto di quanto caotica sia questa città. Soprattutto, poi, sperimentiamo che qui non devi cercare hotel se non lo hai prenotato; facciamo chilometri e chilometri con zaino in spalla per sentirci dire sempre “niet”. Alla fine troviamo un carissimo e moderno hotel lontano dal centro sottostando alla richiesta di una bustarella mafiosa e russa. Ma va sempre tutto bene quando riesci a trovare un tetto per la notte.
Siamo lontani dal centro e quindi ci vuole un mezzo di trasporto: la metropolitana per andare in città, sia di sera che di giorno. L'aspetto positivo é che apprezziamo tante volte, in stazioni diverse, la bellezza di questa metropolitana; stucchi e decorazioni impreziosiscono ogni angolo dove un milione di persone, ogni giorno, transitano.
La cena migliore, vicino alla stazione, dove una cameriera che ci assiste, e lo farà anche domani, conosce un pò di inglese, cosa veramente rara; e conosce anche un pò di italiano poichè il suo boyfriend e’ di Milano. Mosca tutta per noi, ci offre i suoi lati migliori. E’ bellissima la zona del Cremino e la Piazza Rossa; vale veramente.
Il traffico e’ caotico, code continue e infinite, spesso immobili per ore. Poi all’improvviso, ma non di rado, il traffico viene fermato. In pochi istanti le strade sono deserte e di li a poco macchine blu a sirene spiegate scortano limousine prevedibilmente con qualche politico; la città sembra abituata a ciò che a noi appare come un abuso veramente irritante.
Viene sera e lentamente anche le 2 e 35 dell’ultimo giorno. Tra poco il treno n. 210 parte per San Pietroburgo; sarà l’ultima notte in Kupe di questo incredibile viaggio attraverso l’Asia; domattina abbracceremo le nostre mogli.
E’ piena notte in stazione ma c’è movimento. In attesa del treno, i cartelli luminosi che annunciano di volta in volta un nuovo treno sembrano simulare progetti di viaggio: parte un treno per….. e la fantasia corre; poi un treno per Murmansk accoglie centinaia di persone, ciascuna con il suo bagaglio per sport nordici estremi.
Poi arriva il nostro treno, ma questo é un altro viaggio; la Transiberiana é finita qui, a Mosca.
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